Treni della felicità

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I treni della felicità sono stati una iniziativa sociale promossa dal Partito Comunista Italiano nel dopoguerra, grazie a un’intuizione di Teresa Noce. Questa iniziativa ha visto, tra il 1945 e il 1947, oltre 70.000 bambini italiani del Centro Italia e del Sud Italia ospitati da famiglie del Nord Italia, ricevendo cibo, cure e un rifugio.[1] Dopo circa un paio di anni i bambini tornavano dalle loro famiglie, spesso mantenendo i contatti con le famiglie del Nord Italia.[2] In alcuni casi, i bambini rimasero con le nuove famiglie.[3]

Nel 1943, con l'avanzata degli Alleati in Italia, le grandi città del Meridione subirono enormi distruzioni causate dai bombardamenti angloamericani e i combattimenti terrestri. Le famiglie del Sud Italia, già in condizioni economiche difficili da prima della guerra, si ritrovano ancora più povere.[4] Nel 1945, all'indomani della fine della guerra, l'Italia era un Paese distrutto, che doveva fare i conti con la ricostruzione materiale e umana del proprio tessuto sociale. Per far fronte alla situazione di emergenza, in quasi tutte le grandi città nacquero comitati per risolvere i problemi contingenti come la distribuzione dei viveri, lo sgombero delle macerie e la tutela dell'infanzia.[5] La situazione dei bambini e dei ragazzi nel dopoguerra era particolarmente drammatica, vista la scarsità di beni di prima necessità e le distruzioni causate dalla guerra.[5][6]

Un primo passo di questa iniziativa fu mosso nell'autunno del 1945 dalle donne dell’Unione Donne italiane, su iniziativa di Teresa Noce, Daria Malaguzzi Valeri, nobildonna emiliana moglie di Antonio Banfi e rinomata scrittrice di libri per bambini, e Dina Ermini, della Commissione femminile del PCI[7]; fu costituito un comitato unitario coordinato dal PCI, con la presenza di rappresentanti di UDI, CLN, la Curia, Camera del lavoro di Milano, Prefettura, Croce rossa italiana, OMNI, ed altre associazioni[8]. Viene esso in piedi una attività capillare di contato con le famiglie svolto attraverso la rete territoriale del PCI e dell'UDI, ma anche dei parroci. chiedendo alle famiglie dell’Emilia-Romagna e della Liguria di ospitare presso di loro bambini milanesi bisognosi.

Il primo treno parte da Milano il 16 dicembre 1945 diretto per Reggio Emilia con 1700 bambini; segue due giorni dopo un secondo treno. Alla fine dell'inverno 45-46 saranno ospitati a Reggio Emilia 2.332 bambini milanesi che vengono accolti da una capillare organizzazione gestita dall'UDI e dal CIF[9]. I primi bambini arrivarono a Reggio Emilia, Modena, Bologna, Genova e La Spezia. Fu proprio il sindaco di Modena, Alfeo Corassori, a dare l’appellativo di treni della felicità ai treni in arrivo dal Sud Italia[10].

Il 16 dicembre partono da Torino i primi bambini diretti a Mantova, e entro febbraio saranno 1400 i bambini torinesi partiti[11]. Nel dicembre del 1945 al V congresso del PCI, l'iniziativa viene rilanciata: Palmiro Togliatti, nel suo intervento indica espressamente l'attività del PCI milanese come esempio: le delegazioni meridionali presenti al congresso auspicano interventi simili anche per i bambini delle loro regioni.

L'organizzazione dei treni della felicità, dopo il congresso del PCI, si muove anche a Roma da dove partono per l'Emilia i primi bambini il 19 gennaio 1946. Nel mese di marzo i bambini romani saranno ospitati da città toscane; infatti la federazione comunista di Roma , esauriti i posti disponibili i Emilia Romagna ha avanzato la richiesta di ospitalità ad altre regioni[12]. Successivamente il 16 febbraio iniziano i trasferimenti dei bambini da Cassino che a fine anno ammonteranno a 16-20.000 bambini accolti da famiglie in Emilia, Lombardia, Toscana, Umbria[13]. Il primo treno con bambini napoletani diretto al nord parte il 29 gennaio 197; l'attività del Comitato per la salvezza dei bimbi di Napoli ha dovuto superare le diffidenze dei monarchici e dell'apparato della Chiesa, anche se molti parroci hanno appoggiato l'iniziativa[14]. Complessivamente partiranno da Napoli 7577 bambini da gennaio ad aprile 1946.

La chiesa di Pio XII, fortemente anticomunista, era contraria a questi spostamenti e faceva girare la voce che i bambini sarebbero stati spediti in URSS[15].

I treni della felicità raggiunsero il maggior numero di viaggi fra il 1946 e il 1947, espandendo l’iniziativa in tutto il Centro e il Sud per le partenze e in tutto il Nord per l’arrivo.

Cessarono nell'inverno 1947-48. Ma il loro carattere di assistenza svolta sempre da PCI e UDI negli anni successivi verso i figli degli operai arrestati negli anni 50 per le repressioni poliziesche o verso le popolazioni colpita da eventi naturali in Calabria e nel Polesine[16]

  1. ^ I treni della felicità, quando i bambini del sud furono spediti e salvati, su barinedita.it.
  2. ^ Francesca Saturnino, I treni della felicità, una storia di accoglienza nell’Italia divisa, su ilmanifesto.it, il manifesto.
  3. ^ Bruno Maida, I treni dell’accoglienza - Infanzia, povertà e solidarietà nell'Italia del dopoguerra 1945-1948, Einaudi, 2020 ISBN 9788806246365
  4. ^ Il tempo e la storia, I treni della felicità, su Rai Scuola. URL consultato il 5 giugno 2020.
  5. ^ a b 1946, i bimbi dei treni della felicità, su ANPI. URL consultato il 5 giugno 2020.
  6. ^ Raffaella R. Ferré, La storia dimenticata dei bambini di Napoli salvati dalle famiglie del centro-nord Italia, su The Vision, 25 gennaio 2019. URL consultato il 27 maggio 2024.
  7. ^ I treni dell'accoglienza, p. 63
  8. ^ I treni dell'accoglienza, p. 74
  9. ^ I treni dell'accoglienza, p. 79
  10. ^ Graziella Priulla, Un piccolo pezzo di una storia grande: i treni della felicità, su impagine.it, 4 Luglio 2018. URL consultato il 27 maggio 2024.
  11. ^ I treni dell'accoglienza, p. 99-100
  12. ^ I treni dell'accoglienza, p. 99-143
  13. ^ I treni dell'accoglienza, p. 99-152
  14. ^ I treni dell'accoglienza, p. 190-192
  15. ^ Simona Cappiello, Gli Occhi Più Azzurri. Le storie vere dei treni dei bambini, Colonnese, 2021, ISBN 978-8899716585.
  16. ^ I treni dell'accoglienza, p. 321

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